Nuove Rotte
La Casa Rotta e Nuove Rotte, prima ancora che ecovillaggio ed organismo agricolo, è un progetto di vita. Applicando un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e delle forme di vita che lo abitano, curando il terreno e la sua vitalità, Stefano e Ivana coltivano sulle colline di Langa frutta, ortaggi, cereali come grani antichi e mais ottofile, grano saraceno, uva.
“Il progetto di coltivazione di grani antichi – racconta Stefano Vegetabile della Casa Rotta di Cherasco – nasce nel 2007. Studiando e ricercando, abbiamo iniziato a ragionare sulla coltivazione dei cereali. Ci siamo chiesti, ad esempio, come mai una volta i cereali avessero taglia alta, rispetto all’odierna taglia bassa, perché oggi ci siano così tante persone con intolleranze al glutine… Così abbiamo trovato numerose ricerche sui grani antichi, studi di Università come Pisa e Firenze che evidenziavano come chi mangiasse cereali antichi più raramente sviluppasse problematiche legate al glutine. Abbiamo quindi deciso di provare a coltivarli, seppure con tutte le difficoltà legate alla reperibilità dei semi e alle tecniche di coltivazione.
Le piante sono molto diverse rispetto alle varietà attuali, arrivano anche a 1.50 mt – 1.80 mt di altezza (i grani moderni hanno un’altezza compresa tra i 20 e i 50 cm) i grani antichi arrivano a fare anche 15 piante per seme, a differenza di quelle moderne dove ogni seme produce unicamente una pianta, e questo cambia notevolmente le modalità di semina, anche in base al terreno. Inoltre, le antiche varietà sono intolleranti alle concimazioni. È stato un lavoro lungo, portato avanti grazie anche alla collaborazione con la Rete semi rurali e di numerosi amici.
Le rese: un grano antico di inizio ‘900 produce, se si è fortunati, tra i 10 ed i 15 quintali a giornata in pianura (una giornata piemontese equivale generalmente a 3810 m²), mentre i grani moderni arrivano a 40/45 quintali per giornata (25 quintali in collina).
I grani antichi, essendo molto alti, tendono a piegarsi e a rendere estremamente difficoltose le lavorazioni. Dopo tantissime prove abbiamo risolto il problema con i tempi di semina e il miscuglio: abbiamo rimiscelato tutte le varietà che avevamo via via selezionato, aggiungendo alcune varietà di taglia leggermente più bassa, per un totale di 7 varietà. Utilizzare un miscuglio è estremamente migliorativo, ma può comportare alcune differenze organolettiche da un lotto all’altro: questo però non è da considerare un difetto, ma un pregio legato alla tipologia di prodotto e di lavorazione.
La vigna che io lavoro è dei miei nonni, si trova a Barbaresco, nella zona dei Pora. Gli intenditori la considerano tra i primi posti per la produzione del Barbaresco. I miei nonni hanno sempre lavorato nella vecchia maniera, non hanno mai guardato solo l’aspetto commerciale, per cui in questa vigna, che potrebbe produrre Barbaresco, hanno impiantato Dolcetto e Barbera. Le varietà sono molto vecchie, poco spinte, sono piante piccole, quindi fanno pochi grappoli. Da disciplinare Doc dovremmo raccogliere 25 quintali e invece ne raccogliamo 8.
Nella vigna ci sono anche piante molto grandi, di ciliegie, pesche, mele, fichi, ci sono diversi spazi incolti dove abbiamo fatto anche dei campionamenti sulle farfalle, ed è una cosa secondo me bellissima, perché è un ambiente equilibrato, biodiverso e stabile da 60 anni. Il mantenimento dell’organismo agricolo, dal punto di vista puramente economico, è solo una gran spesa perché io sottraggo spazio produttivo per mettere piante che tecnicamente non producono niente. Producono però indirettamente una serie di vantaggi ambientali e, di conseguenza, vantaggi terapeutici perché più l’ambiente è stabile, più le mie piante hanno pochi problemi.
Altra cosa che abbiamo scelto di fare, per adesso, è quella di lavorare tutto a mano: sembra infatti che, passando sul terreno coi trattori che schiacciano e vibrano, la pianta sia più stressata. Usiamo il biologico come base e poi cerchiamo di creare il più possibile i nostri preparati: il macerato di ortica, i fermentati, che magari stai lì un anno a prepararli, per attivare il suolo raccogliamo microorganismi nel bosco, li coltiviamo, li selezioniamo. Se hai un terreno ricco di humus, l’attività microbica può generare in un anno 1500 tipi di sostanze antibiotiche diverse che il suolo produce in continuazione per se stesso: quindi quello che era un problema, l’erba, diventa una risorsa.
Facciamo il vino nella cantina di un amico che lavora in modo biologico-biodinamico sempre a Barbaresco. Abbiamo deciso di lavorare tutto in manuale: rimontaggi manuali, follatura manuale e vasche non a temperatura controllata. Quindi se non hai una percezione giusta, va tutto in aceto. Lavoriamo con la fermentazione spontanea, cioè non aggiungiamo nessun tipo di lievito durante la fermentazione. Questo è quello che intendiamo per arte vinificatoria: vuol dire che io conosco bene gli ingredienti che ho, anche perché sono super selezionati. Il vantaggio è che mantieni tutta la complessità della tua vigna e il vino rimane vivo, continua a maturare di continuo, lo apri e più sta aperto più diventa buono, perché tutta la complessità batterica che ha lavorato, pian piano si esprime. Così estrai tutto il terroir, hai tutti i lieviti che lavorano su tutti i sapori, su tutti i gusti. Alla fine, è come un pittore che si fa anche i colori, come si faceva una volta.”