La Questua delle uova
Era la settimana precedente la Pasqua, aprile 1973, sabato sera.
Da qualche mese insegnavo nella Scuola Materna di Magliano Alfieri, avevo conosciuto Antonio, Silvana, Carola e gli altri del Gruppo Spontaneo. Così andai a Cantare le uova insieme a loro, a S. Gervasio di Neive: l’appuntamento era davanti alla chiesa.
Abitavo ad Alba e, insieme a mio fratello Carlo, arrivai in auto, scelta poco apprezzata dal gruppo dei questuanti, che, invece, da S. Antonio avevano attraversato a piedi i Gorreti e il ponte sul fiume Tanaro.
Partimmo verso le case della borgata, una fisarmonica, due chitarre, un clarinetto, un gènis e un tamburo. Il canto era bello, chiedeva ai padroni di casa il dono di uova o di un bicchiere di vino.
Imparai le strofe della Questua, la richiesta dei doni, gli elogi alla padrona di casa, gli accenni al percorso notturno della luna, l’ammirazione per le aggraziate sembianze delle giovani ospiti.
Da quella sera in poi, la Quaresima significò per me, soprattutto, andare a Cantare le uova con il Gruppo, la fotografia è di quegli anni.
Come loro, anch’io pativo un po’ chi arrivava in macchina e non percorreva, insieme a noi amici questuanti, il cammino iniziatico della traversata notturna dei Gorreti.
Poi, arrivati nelle borgate, cantavamo, instancabili, di aia in aia, fino a notte inoltrata.
Erano preziosi quei momenti, per noi cantori e, credo, anche per le famiglie che ricevevano la nostra visita. La benedizione della natura nel suo risveglio primaverile arrivava nelle cascine attraverso il nostro canto: consapevoli, i padroni di casa ci accoglievano quasi con gratitudine.
Chi giunge all’uscio portando solo sé stesso e cantando strofe augurali è un po’ come la rondine, che benedice la casa in cui si ferma a costruire il nido: sono entrambi messaggeri degli Dei e come tali i contadini li hanno sempre trattati.
Elena Rovera