Tartufo bianco d’Alba, tuber magnatum pico

“ Io non sono un vero trifulàu, per me andare a cercare il tartufo bianco d’Alba è un discorso
molto emotivo, non è una cosa razionale, perché è un po’ nel mondo della magia. Il trifulàu è
una figura che va di notte, con la lanterna, che agisce in modo un po’ misterioso, che non
deve farsi vedere dagli altri, non deve dire dove va, perché c’è questa diceria che il tartufo
bianco d’Alba sia sempre lì, alla stessa ora, ogni anno, e allora c’è tutto questo alone di
mistero. Ci sono un sacco di piste nel bosco che, se uno passeggia, non le vede; il trifulàu
passa di lì, solleva due rami e apre un passaggio che lui conosce e si ritrova in una via verso
il posto che lui sa, dove troverà il tartufo. È una situazione dove c’è penombra, chiaro di luna,
molte ombre, questo rende le cose interessanti. Poi c’è il rapporto con il cane: devi sapere
dove far andare il cane e c’è tutta l’arte del rapporto quotidiano che uno ha con il cane
quando non lavora. A me questa è una roba che mi ha stupito un sacco, perché io prima
avevo sempre il rapporto col cane di compagnia; quindi, hai il cane che è tuo amico, ti segue
sempre, gli fai due coccole. Invece quelli da tartufo sono cani completamente diversi, sono
cani da lavoro, sono super concentrati su quello che fanno e il lavoro/gioco è la ricerca del
tartufo. Quindi il bravo allevatore, il bravo trifulàu, perché il trifulàu è un allevatore, quando
ti dà un cane e ti dice che “è un cane fatto”, vuol dire che gli ha già insegnato a cercare il
tartufo. Magari l’ha cercato nel cortile o a casa sua, con le marche, dei pezzi di tartufo brutto,
marcio, vecchio, che si nascondono per far andare il cane a trovare il tartufo. Però poi da lì
ad andare nel bosco, le cose cambiano completamente, quindi il rapporto uomo-cane è super
profondo: si crea un rapporto di conoscenza molto intimo, perché lavori molto a livello emotivo e anche istintivo col cane. Col cane, quando sei nel bosco in cerca del tartufo, i suoi sensi
sono iper dilatati e, grazie a loro, è come se tu trifulàu percepissi attraverso i loro sensi: in
base a come si muove il cane, a come gira lo sguardo, a come tiene l’orecchio, la coda, il
naso eccetera, tu hai un sacco di indicazioni su quello che c’è intorno a te, nel raggio di quasi
un centinaio di metri, mentre noi normalmente siamo abituati ad avere delle percezioni di
cose solitamente visive oppure di profumi dove c’è un profumo veramente fortissimo che ti
prende l’attenzione. Invece il trifulàu, con il cane, vive questa simbiosi, come di avere i sensi e
l’istinto molto forti. E questo ti dà un sacco di energia mentre cammini nel bosco, amplifica la
magia di cui parlavo prima, perché qualunque cosa, una foglia che cade, una luce, un
profumo un po’ strano, un rumorino, sono veramente amplificati non dalle tue orecchie, ma
da quello che percepisci interiormente, tutto rivolto a trovare il tartufo. E poi c’è tutta la
questione dell’istinto, perché i cani normalmente sono da caccia e quindi cercano la pista
dell’animale, tu invece lo devi sempre riportare l’attenzione sulla pista del tartufo. E questo
capita veramente di continuo, dura almeno 4 anni, finché un cane impara. Secondo me anche
il trifulàu impara ad ascoltarsi a livello profondo, a sentirsi e ad incanalare questa energia.
In questi momenti di ricerca c’è un’attenzione altissima: tecnicamente il mio compagno è un
cane da lavoro quindi, se io sono bravo, gli do i comandi e lui cerca con me il tartufo bianco
d’Alba. Quando, ogni tanto, con mio figlio vado a vedere gli allevamenti dei cane pastore, i
comandi sono tutti in inglese; invece, i comandi per i cani da tartufi sono tutti in piemontese.
Prima cosa ci deve essere l’adrenalina, il cane deve essere contento, deve essere felice di
cercare il tartufo, deve giocare e quindi, come fai coi bambini e dici “su, dai, giochiamo a
pallone, dai, dai, prendi la palla, su, via” e il bambino impara bene a giocare a calcio, lì devi
fare la stessa cosa e il cane si gasa. Poi se trova un tartufo è contentissimo ed è riconoscente,
diventa una simbiosi. Chiaramente vuole la paghetta, tu gli dai qualcosa, un premio, però con
un buon trifulàu non è che diventa una dipendenza, cioè tu cerchi e io ti do la paghetta.
Ci stiamo divertendo insieme e alla fine ci guadagniamo tutti: questa è un po’ la cosa bella.
La posizione del bastone è importantissima, come tieni il bastone, che chiaramente è solo per
indicare. I miei cani, quando vado per tartufi, sanno già che, quando prendo il bastone, si va
nel bosco. Di solito i cani bisogna farli stare vicino, però se ad esempio se vedi che c’è una
riva 2 metri sotto di te ed è difficile andare, allora tu gli fai vedere col bastone dove andare e
lui va, fa un giro e cerca un tartufo. I cani bravi bravi, quando trovano il tartufo, si fermano e
ti aspettano e vai tu a toglierlo, però lì devi averlo bene educato a controllare così bene il suo
istinto, che addirittura poi ti aspetta. Loro, nel bosco, sanno tutte le piante di mele selvatiche,
di ciliegie selvatiche, sanno che vanno lì e possono mangiare dei frutti e allo stesso modo
hanno una mappa mentale di dove poter trovare il tartufo; quindi, se vai tante volte e ritorni
sempre nello stesso posto, il cane sa già che deve andare lì a cercare e vedi proprio che
cambia modo di sentire, di odorare. Quando hai trovato un tartufo non sai ancora com’è, se è
buono o magari un po’ marcio, non sai quanto è grande, quindi devi essere come un certosino,
come un restauratore quando pulisce con il coltellino. Più è grande, più è difficile, chiaramente. Il cane dovrebbe essere un momento tranquillo, perché altrimenti tu non riesci. Di tartufo
bianco, di solito, ce n’è soltanto uno, salvo rarissimi casi; dai la paga al cane, lo ringrazi, lo
abbracci, poi quando è tranquillo cerchi di capire cos’hai sotto. Ti metti pian piano e pulisci il
tartufo, cerchi di capire quanto è grande, che giri fa per non romperlo, inizi pian piano a
pulire con un coltellino, poi quando cominci a capire, più o meno, la dimensione, con il
raspino inizi a scavare intorno. Ci sono delle volte che devi stare lì anche un quarto d’ora.
E questo va avanti per tutta la notte, dipende anche molto dal cane, perché esattamente come
noi, i cani che sono più bravi tengono più l’attenzione, se sono giovani magari resistono una
mezz’ora, un’ora e poi si distraggono, anche se sono ancora molto prestanti. Qualcuno dice
che il tartufo bianco d’Alba viene dove passa l’uomo, come se l’uomo spargesse le spore.
Una volta si trovavano molto di più i tartufi. Prima cosa i noccioli, che è una pianta che dava
tartufi, con tutti i diserbi e le lavorazioni che fanno, non ce n’è neanche una che porti ancora
tartufi, devi trovare delle nocciole selvatiche, sennò non trovi niente. Invece una volta, con i
noccioleti familiari, andavi dietro casa e trovavi lì il tartufo bianco. Poi un’altra pianta che è
sparita è il salice, anche lì era tutta roba che avevi dietro casa. Devi andare a prendere i salici
selvatici. Tutto quello che fa biodiversità fa forza: il tartufo più che mai ci fa capire il
microclima, la micro-nicchia climatica, che è una cosa su cui io punto sempre tanto e nessuno
pensa sia vera, perché quando io dico guarda questo appezzamento di 10 mq, in 10 mq puoi
trovare 3-4-5 microclimi diversi semplicemente in base alle ombre che ci sono, se ci sono due
siepi, sembra una cavolata, ma cambia completamente l’umidità. E questa è una cosa che,
quando parli in agricoltura, tutti ti prendono un po’ per pazzo perché tanti agricoltori sono
abituati a lavorare in 10 ettari e, secondo loro, in 10 ettari si comporta tutto uguale, per via
della standardizzazione. Invece il tartufo bianco d’Alba ci insegna che non è così, nel senso
che tu puoi avere la pianta tartufigena nel posto giusto, tutte le spore nel punto giusto, ma non
è sufficiente, deve esserci ancora qualcosa in più che per fortuna è misterioso, nessuno lo sa;
quindi, il microclima è importantissimo perché il tartufo bianco d’Alba se viene qui può venire
là, ma non gira dall’altra parte della pianta”. Stefano Vegetabile

Storie di agricoltura.