Qualità nutritive del cibo e cura del territorio
“Proprio di questi giorni – ci spiega Claudio Bosco, orticoltore – c’è stata la presentazione del decalogo di Slow Food, nel quale si cita il fallimento del dell’agricoltura intensiva.
Per quanto sia un argomento molto poco pubblicizzato, è vero che l’agricoltura intensiva
così com’è, se da una parte ha prodotto un incremento delle produzioni e quindi, in
teoria, una maggiore possibilità di accedere al cibo, in realtà non ha risolto il problema,
perché comunque la fame c’è sempre. Di concerto i redditi degli agricoltori sono rimasti
bassi, tant’è che c’è una fuga dalle campagne in tutto il mondo.
Solo nelle grosse aziende ad agricoltura intensiva si rimane, ma lavorando con dei costi considerevoli dal punto di vista naturalmente ambientale. E soprattutto la qualità dei prodotti non è un argomento sul quale l’agricoltura intensiva abbia fatta una reale e buona ricerca.
Oggi il prodotto deve avere una qualità mercantile elevata, resistere ai trasporti, essere bello, garantire
una vita a scaffale lunga, quindi un’elevata conservabilità. La presenza di nutrienti, le qualità nutritive, il sapore del prodotto non sono stati obiettivo da conseguire per l’agricoltura intensiva.
L’agricoltura biologica, invece, valorizza proprio quegli aspetti che non sono non sono stati obiettivi dell’agricoltura intensiva degli ultimi anni. Consente di salvaguardare la biodiversità, di migliorare la diversità, anche quella che non si vede. Perché, quando si parla di biodiversità, si tende sempre a pensare solo ai macrorganismi, ai volatili, ai rettili.
Ma c’è, più nascosta, una diversità che è quella dei microrganismi del terreno di cui quasi nessuno si occupa, ma che in realtà è vitale per mantenere vivo un terreno. È assolutamente necessario per mantenere vivo un terreno, per far sì che il terreno abbia attitudini produttive, conservi la sua fertilità, che abbia la capacità di trattenere di più l’acqua.
L’obiettivo di abbassare il prezzo si è raggiunto anche tralasciando anche alcuni aspetti di cura del territorio. Ricordo il professore che ci spiegava che le barriere frangivento servono a salvaguardare le coltivazioni dal vento, ma intanto ospitano migliaia di organismi.
Nell’agricoltura intensiva moderna queste attenzioni sono del tutto trascurate, per cui tutte barriere frangivento, che erano fatte da essenze legnose o cespugliose, sono state via via eliminate per favorire la
lavorazione meccanica di campi. Questo però ha comportato l’eliminazione di aree di riproduzione per la fauna ed ha ridotto alla biodiversità.
La mia conclusione è che quasi nessuno ha più voglia di mettersi in gioco per lavorare in agricoltura, perché il reddito estremamente aleatorio, rispetto al lavoro che ti chiede. Se non si riesce a rivalorizzare il
lavoro dei contadini, i giovani che vengono in agricoltura, magari per gli incentivi, dopo un po’ di tempo, passato il minimo degli anni in cui si è vincolati, poi smettono.