Trifulòt del bur

“È un prodotto primaverile, sono tipiche di Moncalieri. Il seme un po’ lo faccio – racconta Doriano Busso -un po’ lo compro: prima metto le mie, poi in ultimo compro il seme, magari ne lascio un pezzo da semi per l’anno dopo. Cioè lascio maturare la pianta che secca, lascio una fila da togliere, viene la patata dura in poche parole. La tolgo poi a luglio e la semino a gennaio. Da seminare vanno bene un po’ tutte tranne quelle piccole. Questa è una patata che rimane piccola. E’ una varietà più dolce delle altre, tenera, perché si raccoglie prima della maturazione. Non è un’altra patata novella, è una qualità molto gustosa. La pianta è come quella delle altre patate, la coltivazione è uguale. Quest’anno ne ho messe 800 mq. Il raccolto mi dura poche settimane perché fanno in fretta a maturare. Il lavoro per piantarle e raccoglierle è tutto manuale. Secondo la tradizione, queste patate si vendono anche un po’ sbucciate perché si lavano un po’ con l’acqua e quelle dove rimane un po’ di pelle si passano a mano. Il prezzo è più alto perché rendono di meno ed è tutto manuale. Ci sono piante che ne fanno 5 o 6, altre 15, dipende un po’. Ogni pianta fa ½ kg massimo. Certe non ne fanno neanche perché sono patatine piccole. Chi le conosce le apprezza molto, chi non le conosce dicono che sono solo patate e sono care. Siamo sempre meno chi la coltiva, un po’ perché sono poco conosciute e poi perché la manodopera è tanta.

I trifulòt del bur sono buoni sbucciati e cucinati interi in padella con un po’ di burro, un po’ di olio. Oppure fatti saltare con aglio, olio, rosmarino, fatti cuocere coperti con 2 mestoli d’acqua e poi scoperti alla fine perché si asciughino”.

Storie di agricoltura.